Il direttore della Gazzetta: Esauriti gli aggettivi restano le cifre. A cominciare dal sette, il numero sacro che in gran parte delle culture e delle religioni indica la perfezione. Ma il voto più alto va al suo profeta: Max Allegri
La Juve è infinita e Allegri è il suo profeta. Cronaca di un trionfo annunciato ma non per questo meno rilevante: sotto le stelle di Roma, nello stadio che ultimamente hanno eletto a Olimpo privato, i bianconeri si appuntano al petto il settimo scudetto di fila completando in 5 giorni la doppietta con la Coppa Italia, quarta consecutiva. È un record nei record, uno dei tanti. Che dire ancora per sottolineare l’eccezionalità di questa lunga era di dominio e dei suoi formidabili protagonisti? Esauriti gli aggettivi restano le cifre. A cominciare dal sette, il numero sacro che in gran parte delle culture e delle religioni indica la completezza, la perfezione: sette sono i giorni che scandiscono la vita, le meraviglie del mondo, i colori dell’arcobaleno, i sigilli dell’Apocalisse e, per gli amanti del cinema, sempre sette sono i magnifici e i samurai. Ovviamente al settimo cielo sono i tifosi bianconeri che ieri sera hanno festeggiato nelle piazze la più lunga striscia vincente nella storia non solo del nostro campionato ma di tutto il calcio che conta, pareggiata unicamente dal Lione nei primi anni Duemila.
Max Allegri, 50 anni.
La palla – è la filosofia di Allegri – rotola spesso in modo bizzarro e in direzioni impreviste: proprio per questo il voto più alto va a lui, il lider maximo capace di leggere e di anticipare gli eventi come nessun altro, in campo e fuori. In assoluto è stato il suo anno e il suo capolavoro, ma anche quello dei suoi eroi: Flash Gordon/Douglas Costa, Iron Man/Chiellini e Superman/Buffon su tutti, subito seguiti da Pjanic, Matuidi, Dybala e il solito Higuain promossi con voti altissimi nel nostro pagellone. Eppure la Signora ha vissuto una stagione più faticosa e contrastata di altre. I migliori bar sport d’Italia hanno speso tesori di energie nel dibattito che ha opposto la grande bellezza sarriana alla grande concretezza di Allegri. Il Napoli sa incantare, la Juve sa solo incassare, dicevano i critici d’arte pallonara, che da noi sono milioni e non tifano bianconero. Max il Profeta, forse nell’unico errore di comunicazione dell’anno, ha fornito loro un pieno di carburante con quel «chi vuole divertirsi vada al circo» che suonò come la conferma di un timore più che uno squillo di tromba.
Allegri negli spogliatoi dell'Olimpico.
Però i numeri, sempre loro, raccontano un’altra storia. Sinora la Juve ha segnato 9 gol più del Napoli e ne ha subiti 5 di meno, miglior difesa del torneo. Più corta e compatta degli avversari (32 metri contro 33), ha giocato meno palloni (in media 760 contro 900) ma ha velocizzato la manovra con più lanci e dribbling positivi portando a casa una percentuale di realizzazione che ha fatto la differenza (il 22% delle occasioni contro il 15%). L’idea della «Juve brutta», insomma, può risultare consolatoria per gli avversari ma alla prova dei fatti è una fake news. Anche gli esteti più irriducibili dovranno convenire che il ritorno di Londra con il Tottenham e quello di Madrid, o il secondo tempo della finale di Coppa Italia hanno messo in vetrina una squadra che sa esprimere un calcio di livello superiore.
Insomma, al netto della partita con l’Inter e dell’arbitraggio di Orsato – che comunque rimarranno il punto controverso, alla fine non decisivo ma certamente importante, della stagione – la Juve ha confermato lo strapotere che tutti le accreditavano all’inizio del campionato. E che le accreditiamo senz’altro anche per il prossimo sebbene lo scenario sia più complesso di quanto non appaia nell’euforia del trionfo. Qualche giorno fa Allegri ha sbroccato, cosa che gli accade raramente, fulminando chi accennava alla possibile fine di un ciclo. Difficile dargli torto viste le circostanze. Ma è chiaro che, dopo il settimo sigillo, la storia bianconera è destinata ad affrontare il tema del cambiamento.
Insomma, al netto della partita con l’Inter e dell’arbitraggio di Orsato – che comunque rimarranno il punto controverso, alla fine non decisivo ma certamente importante, della stagione – la Juve ha confermato lo strapotere che tutti le accreditavano all’inizio del campionato. E che le accreditiamo senz’altro anche per il prossimo sebbene lo scenario sia più complesso di quanto non appaia nell’euforia del trionfo. Qualche giorno fa Allegri ha sbroccato, cosa che gli accade raramente, fulminando chi accennava alla possibile fine di un ciclo. Difficile dargli torto viste le circostanze. Ma è chiaro che, dopo il settimo sigillo, la storia bianconera è destinata ad affrontare il tema del cambiamento.
Gli eroi invecchiano o lasciano e interi reparti saranno ridisegnati, anche se il mercato preventivo di Marotta e Paratici ha già portato a casa alternative di peso come Spinazzola, Caldara ed Emre Can. In realtà, la vera incognita riguarda proprio il timoniere. Max rimarrà (come appare più probabile in questi giorni) e plasmerà il rinnovamento o si lascerà attrarre dalle sirene del calcio inglese? La risposta, che conosceremo vivendo, segnerà la differenza tra evoluzione e rivoluzione. L’incertezza, tuttavia, non deve illudere la muta degli avversari frustrati. Sette volte sette rischia di essere una facile profezia.
Otto anni fa, Agnelli ha preso una squadra con 156 milioni di fatturato e l’ha portata a 422 milioni centrando una quantità impressionante di traguardi tra cui due finali di Champions. Gestione impeccabile: la Signora è tra i dieci top club più ricchi d’Europa. Su scala italiana, un gigante in un mondo di nani. O di malati, che è peggio. Napoli, Inter e Milan fatturano poco più della metà. La domanda da un milione di dollari è chi mai, e come, potrà interrompere la supremazia della Juve. L’unica risposta possibile è provare ad imitarla. Programma ambizioso, ma qualcuno dovrà pure provarci cominciando da ciò che in campo non si vede ma alla fine decide tutto: il progetto e la sua conduzione. Auguri.
Otto anni fa, Agnelli ha preso una squadra con 156 milioni di fatturato e l’ha portata a 422 milioni centrando una quantità impressionante di traguardi tra cui due finali di Champions. Gestione impeccabile: la Signora è tra i dieci top club più ricchi d’Europa. Su scala italiana, un gigante in un mondo di nani. O di malati, che è peggio. Napoli, Inter e Milan fatturano poco più della metà. La domanda da un milione di dollari è chi mai, e come, potrà interrompere la supremazia della Juve. L’unica risposta possibile è provare ad imitarla. Programma ambizioso, ma qualcuno dovrà pure provarci cominciando da ciò che in campo non si vede ma alla fine decide tutto: il progetto e la sua conduzione. Auguri.
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