Un'autentica leggenda del calcio brasiliano. Claudio Taffarel è stato il grande protagonista della diretta concessa al nostro profilo ufficiale su Instagram. Dall'amore per Parma a quello per il Galatasaray, dal Mondiale vinto ai danni dell'Italia al rapporto con Paquetà: l'attuale preparatore dei portieri del Brasile si è raccontato senza filtri.
Lei è ancora il portiere con più presenze nella storia del Brasile, vero?
"Mi è rimasto solo questo di record (ride ndr). Negli altri sono stato superato, però la vita è così. Ogni giorno si cerca una meta e bisogna essere tranquilli per questo. Adesso sono in Brasile, a Porto Alegre, un po' confinato a casa. Però questo è il nostro dovere".
Le parole del presidente brasiliano Bolsonaro ("noi brasiliani abbiamo gli anticorpi) sul coronavirus hanno fatto discutere molto.
"Il nostro presidente a volte parla con un tono scherzoso però è uno molto serio, preoccupato. Lui sa che non possiamo fermarci al 100% come altri paesi perché abbiamo risorse diverse. Molti non possono fermarsi, vuole incentivare gli industriali a non fermarsi tanto. Bisogna stare attenti con questo virus che sta colpendo principalmente l'Italia, però economicamente per noi è un disastro":
In diretta le è arrivato il saluto di Douglas Costa.
"Ah grande Douglas, questo è un fenomeno ragazzi".
A Parma ha scritto pagine importanti con due coppe Italia vinte: ha sentito qualche vecchio amico in questo periodo difficile?
"A Parma ho lasciato il mio cuore, è ancora lì. Abbiamo la casa lì, andiamo spesso. Sento tutti i giorni il mio amico Enrico Cavalca che mi dà notizie, leggo la Gazzetta di Parma. Questo virus ha colpito l'Emilia Romagna e la città di Parma, ma sembra che qualcosa stia migliorando ma molto lentamente. L'altro giorno gli ho regalato un video, ho fatto il parmigiano. Volevo dare un grosso in bocca al lupo a tutti, ai medici. Io sono molto vicino agli italiani e principalmente a Parma".
Lei è arrivato in Italia nel 1990, dopo il Mondiale in Italia: ci racconta com'era nata questa possibilità al Parma?
"Si parlava molto di questa cose degli sponsor, della possibilità di diventare l'uomo immagine della Parmalat in Brasile ma allora ringrazio gli sponsor (ride ndr). Non mi è mai interessato di questa cosa, sono arrivato al Parma perché avevo fatto un buon Mondiale in Italia. Mi hanno voluto il presidente Scala, il direttore Pastorello e il presidente Tanzi. Anche Carlo Pallavicino ha avuto un suo ruolo in questa cosa, perché lavorava con Branchini e lo ringrazio".
Il passaggio alla Reggiana, rivale storica del Parma, fu molto chiacchierato: perché fece quella scelta così rischiosa?
"Devo dire che non avevo tante alternative. Sono stato molto bene in quella città, Reggio è fantastica ma non era molto facile. In casa dovevi vincere sempre, il livello della squadra era basso, avevamo tanti limiti. Avevamo un bell'ambiente e un ottimo allenatore ma purtroppo avevamo un presidente, Dal Cin, che non capiva di calcio. Non sapeva gestire una squadra, era interessato solo agli affari. Pensa che io avevo fatto veramente un campionato buonissimo, mi chiamò dopo l'ultima giornata per comunicarmi che dovevo andare via perché lui doveva fare affari e basta. Una volta contro l'Udinese ci disse che poteva andare bene anche un pareggio perché lui era friulano".
Il Mondiale vinto nel 1994 contro l'Italia è stato il momento più alto e bello della sua carriera?
"Dal Cin mi mandò via e menomale che ci fu il Mondiale. Avevamo davvero una grossa squadra e abbiamo vinto. Una squadra di esperienza, di buoni giocatori e abbiamo dovuto dare il massimo per superare l'Italia che è stata coraggiosa, molto guerriera. Aveva tanti problemi tra infortuni di Baggio e Baresi e il caldo ma non ha mai mollato fino all'ultimo, difendendo bene e dando sempre battaglia. Dopo 24 anni era il nostro turno, era scritto".
Cosa ha provato vedendo due campioni come Baggio e Baresi piangere amaramente per quella sconfitta?
"E' stato un dispiacere, perché li conoscevo tutti. C'erano anche tanti miei compagni di squadra come Apolloni, Benarrivo ed ero molto vicino a loro. Ho sentito questa sofferenza loro, però questo è il calcio. A volte si piange e a volte si ride, sono momenti. Nel 98 ho pianto io".
Sul nostro sito stiamo portando avanti un sondaggio sull'italiano più forte del millennio: lei per chi spende un voto?
"Buffon, senza dubbio. Ha fatto una grande carriera, a 17 anni ha iniziato con grande personalità. Secondo me è un uomo importantissimo per l'Italia, ha ancora voglia di dimostrare nonostante l'età. Noi ci siamo conosciuti ma solo di passaggio. Al Parma lui era nel settore giovanile ma si parlava già da tanto di lui. Mi dissero che dovevo andare via per fargli spazio (ride ndr)".
Lei allena i portieri del Brasile: che difficoltà ci sono con un fenomeno come Alisson?
"Pochissime, quasi zero. Con lui è molto facile, è un campione perché gli piace lavorare. Psicologicamente è fortissimo e questo è fondamentale per un portiere. Continua a lavorare e a crescere perché ha sempre l'ambizione di fare meglio".
Perché Paquetà sta avendo così tanti problemi al Milan?
"Lui è un buon giocatore però deve trovare la sua strada, il modo di giocare giusto. Tutti pensavamo che sarebbe andato in Italia per sfondare però fa fatica. E' molto giovane, forse è andato via troppo presto dal Brasile. Alcuni giocatori pagano questa fretta di andare in Europa".
Forse gli manca un po' di personalità?
"Ha un carattere particolare, è molto buono e tranquillo. Gli piace lavorare e ha forza. Sono giocatori che hanno bisogno di più tempo. Il Milan dovrebbe dargli la possibilità di giocare in un altro club per trovare continuità, Io penso che così potrebbe poi tornare al Milan con più convinzione e consapevolezza".
Ma è vero che lei non ha chiuso la sua carriera all'Empoli, nel 2003, per colpa di un guasto alla macchina?
"E' vero anche se in pochi ci hanno creduto a questa storia. Avevo intenzione di smettere di giocare, pensavo di non essere più all'altezza degli anni migliori. Però c'era il direttore dell'Empoli del tempo che mi chiamava sempre e alla fine mi convinse. Lo chiamai per confermargli la mia intenzione di raggiungere Empoli. Presi una macchina a zero km, la prima volta che mi capitò una cosa del genere in Italia. Stavo andando ma la macchina si fermava, mi dava dei problemi. Prima del casello ho deciso di rigirare e tornare verso casa. Una volta parcheggiata la macchina, presi la bici e con mia moglie accompagnammo i nostri figli a scuola. Al ritorno mia moglie mi chiese che cosa volessi fare e lì capii che era finita, era arrivato il momento di smettere. I problemi con la macchina erano un segnale. Presi subito il telefono e chiamai il direttore per comunicare la mia scelta".
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