quinta-feira, 7 de maio de 2020

I 10 convitati invitati al capezzale del calcio

In Italia la Fase 2 è appena iniziata e in tutto il Paese cresce la voglia di ripartire. Ma sono ancora 800 mila imprese bloccate che chiedono a gran voce riprendere il lavoro. Una richiesta urgente e disperata per non soccombere all’imminente crisi economica. Tra queste aziende non sembra esserci il calcio. Tra  giocatori, società, istituzioni non si capisce chi può, chi vuole e chi si rifiuta di ripartire. La confusione permanente del governo nell’affrontare l’emergenza non aiuta. Ma uno dei problemi principale è nel numero degli interlocutori al capezzale del pallone e dei messaggi contraddittori che continuano a mandare.
Andiamo con ordine partendo dall’alto. Anche sul calcio il Governo non sembra coeso. Il Premier Conte (1) appare ottimista sulla ripartenza, il Ministro dello Sport Spadafora (2) decisamente più pessimista. Anche il Coni (3) non ha una posizione chiara. La Federcalcio di Gravina (4) è l’unica istituzione che sembra avere un'unica rotta: finire il campionato.
Il Comitato Tecnico Scientifico (5) che sta valutando un protocollo sanitario lavora amleticamente e con grande lentezza.
Dopo le polemiche delle scorse settimane  la Lega Calcio (6) sembra essersi ricompattata sul ritorno in campo ma non si capisce se si tratta di un unità formale o sostanziale.
Anche perché alcuni Presidenti di club (7)  vanno in ordine sparso insinuando più di un dubbio sull’opportunità di tornare a giocare. Anche l’AIC, il sindacato calciatori (8) sembra favorevole alla ripresa ma diversi giocatori palesano perplessità. Poi ci sono i tifosi (9). Alcuni sondaggi (tutti da verificare) li descrivono in maggioranza scettici sulla ripresa del campionato. Non manca il veto virtuale della componente ultrà che, in alcune frange,  con la prospettiva delle porte chiuse perde la sua ragion d’essere. Ultimo, ma non da ultimo, ci sono le televisioni (10)  con i loro diritti. Favorevoli alla ripresa ma con la necessità urgente di conoscere i tempi per organizzare lavoro e palinsesti.
Insomma almeno una decina di interlocutori che è praticamente impossibile mettere d’accordo. Anche qui servirebbe la Politica. In Francia e Germania  i governi hanno deciso. A Parigi hanno detto no al calcio, a Berlino invece sì. Aspettiamo di sapere cosa decide Roma.  Ma questa incertezza ha un costo che si traduce in: stipendi dei calciatori, riapertura dei centri sportivi, sanificazione, tamponi, spese per il protocollo. Soldi buttati se non si ricomincia a cui vanno da aggiungere quelli che si perderanno per i diritti tv.

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